sabato 25 ottobre 2025

All'UE di Mario Draghi è preferibile l'Europa sociale di Mario Bergamo (e Giuseppe Mazzini). Articolo di Luca Bagatin

 

Mario Draghi e coloro i quali tradiranno Bettino Craxi, nel 1992, contribuì a liquidare quel patrimonio pubblico italiano, che proprio il socialista Craxi tentava invece di salvare, ma invano, dato che, poco dopo, la democratica Prima Repubblica crollò e implose, con il beneplacito dei poteri forti internazionali sorosiani e liberal capitalisti e con quello dei post-comunisti, dei leghisti e dei post-fascisti, anni dopo – guarda un po' - tutti al governo e persino a sostenere il governo Draghi.

Storia nota. Che anche il Presidente Emerito Francesco Cossiga ci ricordò.

Oggi, quel Draghi che ha sostenuto per anni una UE austera e autoreferenziale, non eletta da nessuno, la quale ha ampiamente sostenuto politiche di distruzione dei diritti sociali e dei lavoratori e sanzionato Paesi sovrani, torna a parlare.

Non per dirci, ancora una volta, assurdità quali “volete la pace o i condizionatori accesi”, visto che sono state ampiamente smentite dai fatti, ma per dirci che il mondo è cambiato e che i principi sui quali l'UE si fonda sono sotto attacco.

Quali principi? Quelli già citati?

Ci dice che “abbiamo costruito la nostra prosperità sull'apertura e sul multilateralismo”, ma non ci dice che, in realtà, se aspettavamo una UE appiattita sui desiderata dei governi USA di turno, preda da sempre di una sciocca mentalità da Guerra Fredda, al multilateralismo non ci saremmo mai arrivati.

Ci dice che “abbiamo creduto che la diplomazia potesse essere la base della nostra sicurezza”, ma non ci dice che, se avessimo seguito la via diplomatica, probabilmente il conflitto russo-ucraino non sarebbe mai scoppiato.

E la via diplomatica ce la indicò Silvio Berlusconi (tradito anni dopo dai suoi), nel 2015, scrivendo, in una lettera al Corriere della Sera: “l’assenza dei leader occidentali alle celebrazioni a Mosca per il settantesimo anniversario della Seconda guerra mondiale è la dimostrazione di una miopia dell’Occidente che lascia amareggiato chi, come me, da presidente del Consiglio ha operato incessantemente per riportare la Russia, dopo decenni di Guerra fredda, a far parte dell’Occidente”.

E proseguiva, fra le altre cose, scrivendo: “È vero, con la Russia ci sono delle serie questioni aperte. Per esempio la crisi ucraina. Ma sono problemi che è ridicolo pensare di risolvere senza o contro Mosca. Anche perché in Ucraina coesistono due ragioni altrettanto legittime, quelle del governo di Kiev e quelle della popolazione di lingua, cultura e sentimenti russi. Si tratta di trovare un compromesso sostenibile fra queste ragioni, con Mosca e non contro Mosca”.

Egli peraltro, nel febbraio 2023, affermò: “Io a parlare con Zelensky se fossi stato il Presidente del Consiglio non ci sarei mai andato perché come sapete stiamo assistendo alla devastazione del suo Paese e alla strage dei suoi soldati e dei suoi civili: bastava che cessasse di attaccare le due repubbliche autonome del Donbass e questo non sarebbe avvenuto, quindi giudico, molto, molto, molto negativamente il comportamento di questo signore”.

Draghi dice poi che “l'Europa fa fatica a rispondere”.

Grazie tante. Non ha alcuna leadership credibile.

Come scrissi l'estate scorsa: “L'UE, in questi decenni, ma soprattutto anni, non ne ha azzeccata una.

Anziché gettare acqua sul fuoco, ha preferito sostenere e armare una autocrazia (che ha messo al bando l'opposizione di sinistra), né appartenente all'UE, né alla NATO. Seguendo peraltro i desiderata della famiglia Biden”.

I vari Macron, Merz, Starmer sono in crisi profonda. Hanno deluso tutte le aspettative e i loro Paesi sono in crisi. I loro oppositori avanzano, così come avanza l'astensionismo, fenomeno che da tempo ha ampiamente colpito anche il nostro Paese.

Draghi, evidentemente, non ha nulla da dire in merito, perché sarebbe costretto a fare un'autocritica che non sarà mai disposto a fare.

Non esistono “volenterosi”, ma solo governi liberal capitalisti che non ascoltano i rispettivi popoli; che seguitano a proporre ricette vecchie e di macelleria sociale; con una mentalità da Guerra Fredda fuori dal tempo e dalla logica. Che sostengono realtà completamente estranee ai valori democratici europei.

Mentre altre realtà avanzano e lo fanno con pragmatismo e riformismo. Pensiamo alla Repubblica Popolare Cinese, che promuove apertura economica, mutuo aiuto, dialogo multilaterale, soluzioni di pace, sviluppo delle nuove tecnologie a beneficio della comunità (e non dell'apparato e/o del sistema finanziario), riforme continue (imparando dagli errori del passato e facendo autocritica, cosa che i dirigenti UE non fanno minimamente).

I dirigenti UE cosa propongono, invece?

Il riarmo.

Non sviluppo a beneficio della comunità in ambito educativo, scientifico, sanitario.

Dall'austerità e dalla distruzione dei diritti sociali e dei lavoratori passiamo al riarmo.

E in mezzo c'è stata una pandemia, di cui tutti sembrano essersene dimenticati, al punto che il settore sanitario non è stato minimamente rafforzato. Anzi.

Che credibilità può avere, dunque, l'UE?

A crederci solo i fondamentalisti ultra liberali alla Draghi, che può anche parlare di federalismo, ma di federalismo serio e pragmatico parlavano già Ernesto Rossi, Eugenio Colorni e Altiero Spinelli.

Che avevano l'idea di un'Europa federale e sociale. Non di una Europa ultra-liberale e guerrafondaia, al servizio di un Paese d'oltreoceano.

La mia cara amica Paola Bergamo, imprenditrice, pasionaria repubblicana come il nonno Mario, eroe antifascista e autrice di due volumi sull'Europa (“I sentieri interrotti dell'Europa. Sulla via tracciata da Mario Bergamo” (scritto assieme a Angelo Giubileo) e “Ritrovare i sentieri dell'Europa. Sulla via tracciata da Mario Bergamo”, con prefazione del Generale di Corpo d’Armata Antonio Bettelli), nell'intervista che le feci nel maggio scorso, così si espresse, alla mia domanda: Pensi che l'europeismo immaginato da Mario Bergamo e, prima di lui, da Mazzini, Garibaldi, Rossi, Colorni e Spinelli, sia compatibile con l'UE e, in particolare, con i suoi attuali dirigenti?

No, credo che sia necessario comprendere che l’UE non risponde affatto al sentimento dei Padri Fondatori. La UE ha un “peccato” nella sua stessa origine che è puramente mercatale. Una realtà che non ha una Costituzione, che dopo Maastricht s’è impantanata nel pasticcio di Lisbona. Un grande castello di carte, pronto a implodere da un momento all’altro, che vorrebbe far politica, senza essere un soggetto politico. E' del resto composta da un coacervo di Nazioni, che addirittura operano l’una in danno dell’altra. Oggi che i tanti nodi irrisolti della Storia, altro che fine della Storia (!), la UE dimostra tutta la propria marginalità e marginalizzazione. Il mio però è un libro di speranza che guarda a una Unione Federale, quell’Unione Perfetta che propugnava Mario Bergamo fin dal 1919 e che è ancora attualissima nella possibilità di attuazione, contenuta nel suo “La France et l’Italie Sous le Signe du Latran”, pubblicato nel 1931 a Parigi da S.E.P.I. e tradotto in Italia nel 1968 con il titolo “Laicismo Integrale”.

Mario Draghi, forse, dovrebbe leggersi Mario Bergamo. E così dovrebbero fare tutti coloro i quali, alla giustizia sociale e alla laicità del pensiero, preferiscono il dogma di un europeismo oligarchico liberal capitalista fuori tempo massimo, sconfitto dalla Storia, perché ha tradito la Storia stessa e l'idea stessa di un'Europa unita, fondata sulla giustizia sociale e sulla sovranità nazionale.

Luca Bagatin

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venerdì 24 ottobre 2025

Si conclude il Plenum del Partito Comunista Cinese con l'obiettivo di raggiungere una “sostanziale modernizzazione socialista entro il 2035”. Articolo di Luca Bagatin

 

Il 23 ottobre scorso, a Pechino, si è concluso il Plenum del XX Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese (PCC), presieduto dal Segretario Generale del Comitato Centrale del PCC e Presidente della Repubblica Popolare Cinese, Xi Jinping.

I partecipanti hanno deliberato le raccomandazioni per la formulazione del XV Piano Quinquennale per lo Sviluppo Economico e Sociale.

Tali raccomandazioni hanno posto, quale priorità, la “costruzione di un sistema industriale modernizzato e il rafforzamento delle fondamenta dell'economia reale”, come dichiarato da Zheng Shanjie, Presidente della Commissione Nazionale per lo Sviluppo e la Riforma.

Le raccomandazioni deliberate, invitano il Paese a sviluppare le industrie del futuro e accelerare i settori strategici industriali emergenti nei settori chiave, quali le nuove fonti di energia, i nuovi materiali e il settore aerospaziale. Oltre che a promuovere la tecnologia quantistica, la bio-manifattura e il 6G, al fine di gettare le basi per una nuova crescita dell'economia.

Crediamo che dopo altri cinque anni di impegno costante, la forza scientifica e tecnologica della Cina compirà un altro importante passo avanti. L'innovazione scientifica e tecnologica svolgerà un ruolo ancora più importante nel guidare lo sviluppo di nuove forze produttive di qualità e nel promuovere la crescita di alta qualità della Cina”, ha affermato Yin Hejun, Ministro della Scienza e della Tecnologia della Repubblica Popolare Cinese, come riportato da Global Times, tabloid del PCC, che peraltro ha dato spesso spazio anche interventi dell'importante manager e analista italiano prof. Giancarlo Elia Valori, grande e storico amico della Cina.

Nell'ambito della quarta sessione plenaria del Comitato Centrale del PCC, i partecipanti hanno espresso una valutazione positiva dei risultati di sviluppo del Paese durante il Piano Quinquennale precedente (2021 – 2025) e hanno indicato il XV Piano Quinquennale (2026 – 2030) cruciale, al fine di raggiungere una “sostanziale modernizzazione socialista entro il 2035”.

Gli obiettivi fissati nell'ambito di tale Piano sono: progredire nello sviluppo di alta qualità in tutti i settori; migliorare l'autosufficienza e solidità scientifica e tecnologica; sviluppare nuove riforme e progredire sotto il profilo culturale e etico nell'ambito della società; migliorare la qualità della vita delle persone; guidare lo sviluppo di nuove forze produttive di qualità; accelerare la transizione verde; progredire nel rafforzare la sicurezza nazionale.

L'obiettivo di raggiungere una “sostanziale modernizzazione socialista entro il 2035” è, dunque, un nuovo tassello del Socialismo con caratteristiche cinesi che, negli scorsi decenni, si era posto l'obiettivo – pienamente raggiunto – di raggiungere una “società moderatamente prospera in tutti i suoi aspetti”.

Il Plenum del Comitato Centrale, peraltro, ha sottolineato come il Paese dovrebbe garantire la stabilità e prosperità a lungo termine di Hong Kong e Macao, promuovendo le relazioni pacifiche e la causa della riunificazione nazionale della Cina.

Altri obiettivi del XV Piano Quinquennale, quelli di contrastare l'abuso dei dazi da parte di alcuni Paesi occidentali, garantendo l'apertura e la condivisione con tutte le parti, sviluppando una crescita economica stabile, nonché promuovendo sempre il mutuo vantaggio, la cooperazione e la stabilità globale.

Luca Bagatin

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martedì 21 ottobre 2025

Alceste De Ambris, il socialista e sindacalista rivoluzionario e mazziniano che mise a nudo il regime fascista. Articolo di Luca Bagatin

  

Esponente del mazzinianesimo novecentesco, del socialismo e del sindacalismo rivoluzionario, già deputato socialista, Alceste De Ambris (1874 - 1934), celebre per aver dato vita, assieme al Vate Gabriele d'Annunzio, alla libertaria Carta del Carnaro dello Stato libero di Fiume, fu estraneo tanto alla tradizione liberale, che a quella marxista.

Per questo vergognosamente e volutamente dimenticato.

Esponente del primo, del più puro, del più autentico e intransigente antifascismo, De Ambris, nel 1930, darà alle stampe il pamphlet “Mussolini. La leggenda e l'uomo”, ripubblicato recentemente dalla Mario Pascale Editore.

Un saggio unico, per la minuziosa descrizione, quasi in stile giornalistico, dei voltafaccia, dei bluff, dell'immenso opportunismo e dell'immensa mediocrità di Benito Mussolini e della sua per nulla originale e assai confusa ideologia, che pretendeva di prendere a prestito idee socialiste, d'annunziane, mazziniane, pur svuotandole di significato e ponendo il tutto al servizio del grande capitale industriale e borghese.

De Ambris, Mussolini, lo conobbe bene, essendosi entrambi formati sul piano delle idee nell'ambito del socialismo e del sindacalismo rivoluzionario.

Con differenze fondamentali, ad ogni modo.

De Ambris, intransigente, lontano da ogni credenza nel liberalismo, nel parlamentarismo e nel riformismo borghese, ma anche nel bolscevismo burocratico e autoritario, sarà un promotore dell'elevazione morale e materiale dei lavoratori e delle classi meno abbienti. 

Le quali avrebbero dovuto auto-governarsi e auto-gestirsi, attraverso un sistema democratico, dal basso e anti-autoritario, sulla base degli insegnamenti mazziniani e socialisti originari.

Il Mussolini, invece, come ce lo descrive De Ambris, prendendo anche a prestito numerose testimonianze di chi lo conobbe da vicino, come la socialista Angelica Balabanoff, fu, fin da giovanissimo, un opportunista, un perdigiorno privo di coraggio, idee e nerbo.

E, infatti, nel suo “Mussolini. La leggenda e l'uomo”, ce lo descrive come un demagogo parolaio, che sfrutta i suoi stessi compagni di partito (facendosi compiangere e dicendo di avere il padre alcolizzato), che usa il socialismo più per farsi un nome che per vera fede politica. Che parte neutralista e prosegue ultra-interventista, nella Prima Guerra Mondiale. Ma che si guarderà sempre bene dal partecipare in prima persona, sia alle battaglie (rimarrà 38 giorni in trincea, senza mai combattere); sia durante gli scioperi operai; sia in quella Marcia su Roma, alla quale Mussolini, fisicamente, non parteciperà affatto.

Un Mussolini che utilizzerà qualsiasi stratagemma per farsi finanziare, dal governo francese e dalla grande industria italiana, “Il Popolo d'Italia”, il suo giornale personale e che si guarderà bene dall'appoggiare e sostenere l'impresa d'annunziana di Fiume, per non inimicarsi il giolittismo.

Anzi, Mussolini, il suo giornale e la sua confusa ideologia, il fascismo, diverranno utili alla classe dirigente liberal-giolittiana dell'epoca per combattere il nascente bolscevismo e ogni anelito libertario, fosse d'annunziano, anarchico, socialista o repubblicano mazziniano.

Mussolini divenne, una volta traditi gli ideali socialisti, dunque, l'uomo di riferimento della borghesia e dello Stato liberale ed ebbe quindi gioco facile, attraverso le sue violente squadracce, nel farsi strada verso l'unica cosa che gli interessava davvero: ottenere il potere.

Un potere che facilmente gli sarà ceduto, dalla decadente classe politica liberale di allora e da un Re opportunista e pavido, come sempre fu Casa Savoia e come ricorda il De Ambris.

Fu dunque facile, per i fascisti, insinuarsi nello Stato, nella sua burocrazia, nella sua polizia e nelle leve del comando, distruggendo tutto quanto il Risorgimento italiano aveva costruito.

Purtuttavia, come ci ricorda Alceste De Ambris, Mussolini, dopo essersi appropriato della retorica socialista, svuotandola completamente di significato e contenuto, si appropriò anche di quella risorgimentale, giungendo persino a far aderire al fascismo Ricciotti e Ezio Garibaldi, insozzando, come sottolinea il De Ambris, persino la gloriosa tradizione garibaldina.

Alceste De Ambris, infatti, conclude il suo saggio, sottolineando come non è con il tradimento di certi garibaldini, che termina l'ideale garibaldino di emancipazione sociale e civile ed in proposito scrive: “Quella camicia rossa che i nipoti indegni hanno gettato nel fango fetido, la raccoglierà il popolo nostro, lavandola e ritingendola col suo sangue più generoso, per innalzarla ancora come una bandiera di riscossa”.

Ed aggiunge: “E se il giorno sperato verrà, vendicheremo il sacrilegio affogando l'Insozzatore nello sterco. Poiché la ghigliottina, il plotone d'esecuzione, la forca stessa dei ladri, sarebbero troppo insigne onore per lui”.

Mussolini. La leggenda e l'uomo” è un documento prezioso, per troppo tempo rimasto dimenticato, che non solo getta luce su Mussolini e il fascismo, che non fu mai un'ideologia, ma un coacervo di mediocrità, incoerenza, opportunismo, menzogna, pavidità (aspetti che possiamo osservare bene anche nei suoi eredi storici di oggi), ma riporta in luce Alceste De Ambris, politico e intellettuale socialista, sindacalista rivoluzionario, mazziniano e garibaldino.

La cui tradizione rimane, ancora oggi, per quanto non riconoscibile in nessuno dei partiti italiani della Seconda Repubblica (nella Prima Repubblica essa fu presente unicamente nella corrente di sinistra del Partito Repubblicano Italiano, fino al 1957 e in parte in alcuni esponenti del PSI e del PSDI), un faro di luce per coloro i quali avranno il coraggio di approfondirla e portarla avanti.

Luca Bagatin

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lunedì 20 ottobre 2025

Il Presidente socialista colombiano Gustavo Petro risponde per le rime a Donald Trump e ai suoi tentativi di destabilizzazione dell'America Latina socialista. Articolo di Luca Bagatin

 

I tentativi di destabilizzazione, da parte del governo USA, dei Paesi sovrani e socialisti, in America Latina, quali quello del Venezuela e della Colombia, sembrano non avere fine.

Alle ingiuste e pretestuose accuse di Trump rivolte al Presidente socialista colombiano, Gustavo Petro, di essere “leader del narcotraffico”, quest'ultimo ha risposto con fermezza.

Petro gli ha chiesto, innanzitutto, di rendere conto della morte di Alejandro Carranza, pescatore di Santa Marta, avvenuta attraverso un attacco USA alla sua imbarcazione.

La barca del pescatore di Santa Marta non apparteneva all'ELN (Esercito di Liberazione Nazionale); apparteneva a una famiglia umile che amava il mare, ed era lì che si procurava il cibo”. Rivolgendosi a Trump, il Presidente Petro ha insistito, chiedendogli: “Cosa dici a quella famiglia? Spiegami perché hai contribuito ad assassinare un umile pescatore di Santa Marta, la terra dove morì Bolívar e che dicono sia il cuore del mondo”. “Cosa dici alla famiglia del pescatore Alejandro Carranza ? Era un umile essere umano”.

Il Presidente Gustavo Petro ha proseguito, anche con un toccante post su Facebook, affermando: “Signor Trump, la Colombia non è mai stata scortese con gli Stati Uniti; al contrario, ne ha amato profondamente la cultura.
Ma lei è scortese e ignorante nei confronti della Colombia. Legga, come ha fatto il suo incaricato d'affari in Colombia, “Cent'anni di solitudine”, e le assicuro che imparerà qualcosa dalla solitudine.
Io non faccio affari, come lei. Sono un socialista. Credo negli aiuti e nel bene comune, e nei beni comuni dell'umanità, il più grande di tutti: la vita, messa in pericolo dal suo petrolio.
Se non sono un uomo d'affari, e tanto meno un narcotrafficante, non c'è avidità nel mio cuore.
Non potrei mai relazionarmi con l'avidità. Un mafioso è un essere umano che incarna il meglio del capitalismo: l'avidità. Io sono l'opposto, un amante della vita e quindi un guerriero millenario della vita. L'avidità ci sfugge, perché la vita è più potente”.

Trump, accusando senza alcuna prova la Colombia di narcotraffico, come sta facendo con il Venezuela, ove addirittura sta mobilitando la CIA, aveva affermato che “La Colombia promuove la coltivazione massiccia di droga e Petro non fa nulla per fermarla”, minacciando di sospendere i pagamenti e i sussidi che gli USA erogano alla Colombia.

Il Presidente Petro, su Facebook, ha a sua volta risposto, con un post che merita di essere integralmente pubblicato: “Le guerre che la Colombia sta vivendo da cinque decenni, prima nelle aree urbane fino al 1993 e poi nelle aree rurali, sono dovute al consumo di cocaina negli Stati Uniti. Sebbene i governi statunitensi abbiano contribuito alla pace in Colombia, negli ultimi anni sono stati scarsi e inesistenti.
Nella lotta contro i produttori e gli spacciatori di cocaina è emersa una sorta di divisione del lavoro: la Colombia fornisce i soldi e le morti nella lotta; gli Stati Uniti forniscono il consumo.
Il consumo negli Stati Uniti e il crescente consumo in Europa sono responsabili di 300.000 omicidi in Colombia e di un milione di morti in America Latina.
Durante la mia amministrazione, quando furono compiuti i maggiori sforzi contro i narcotrafficanti, bloccando l'espansione delle coltivazioni di foglie di coca, queste aumentarono solo del 3% entro il 2024. Metà delle coltivazioni, negli ultimi tre anni, è stata abbandonata nella giungla, come sottolinea il rapporto delle Nazioni Unite. Abbiamo sequestrato, come mai prima nella Storia, più di 2.800 tonnellate di cocaina, con l'aiuto delle agenzie di intelligence europee e nordamericane, alle quali ho chiesto la massima collaborazione senza violare le leggi nazionali.
Questo elimina l'unico vantaggio che la Colombia aveva ottenuto in questa lotta impari: i vantaggi tariffari, che sono diventati nulli durante l'amministrazione Trump e ora sono ancora più minacciati. Questo distrugge qualsiasi possibile accordo sulla lotta contro i narcotrafficanti, le cui risorse finanziarie in tutto il mondo non vengono sfruttate.
Propongo a Trump l'opposto: rimuovere i dazi sulla produzione agricola e agroindustriale colombiana per rafforzare la produzione agricola legale; investire nella riforma agraria affinché gli agricoltori abbiano accesso a terreni fertili vicino alle città e non adottino la giungla come mezzo di sopravvivenza; stimolare le opportunità commerciali negli Stati Uniti per acquistare, attraverso contratti a lungo termine, prodotti agricoli provenienti da zone di sostituzione delle colture in Colombia; legalizzare l'esportazione di cannabis come qualsiasi altro bene, data la sua esclusione dalla lista delle sostanze pericolose delle Nazioni Unite; rafforzare la politica statunitense di prevenzione del consumo; studiare scientificamente se il proibizionismo sia necessario o, piuttosto, promuovere un consumo responsabile e regolamentato dallo Stato; e creare un trattato più efficace per perseguire i capitali e i beni dei trafficanti di droga in tutto il mondo.

Solidarietà al Presidente Petro sono giunte dall'ex Presidente socialista della Bolivia, Evo Morales, il quale, su X, ha scritto: “Inviamo la nostra solidarietà al fratello Presidente Gustavo Petro di fronte agli attacchi e alle minacce del Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump”, aggiungendo: “Gustavo Petro è una delle voci meritevoli che chiedono la pace. Le minacce contro la nostra patria sorella, la Colombia, sono minacce contro l'intera Patria Grande”.

E un messaggio di sostegno è giunto anche dall'ex Presidente socialista dell'Ecuador, Rafael Correa, già ingiustamente accusato di corruzione nel 2020 e rifugiato politico in Belgio: “Il fatto che l'uomo più potente del pianeta sia un pagliaccio irresponsabile dovrebbe preoccupare tutta l'umanità. Forza, Presidente Petro! Forza, Colombia! Forza, America Latina!”.

Luca Bagatin

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venerdì 17 ottobre 2025

La piazza argentina si mobilita per celebrare il Peronismo, chiedere la liberazione di Cristina Kirchner e denunciare il regime liberal capitalista di Milei. Articolo di Luca Bagatin

  

A pochi giorni dalle elezioni parlamentari, che si terranno il 26 ottobre prossimo, la piazza peronista argentina si mobilita per celebrare l'80esimo anniversario del “Giorno della Lealtà”, festeggiato in Argentina ogni 17 ottobre.

Tale anniversario è particolarmente importante, perché ricorda la grande mobilitazione sindacale e operaia che, il 17 ottobre 1945, ottenne la liberazione dell'allora colonnello Juan Domingo Peron, il quale aveva guidato, due anni prima, un movimento sociale comprendente socialisti e sindacalisti rivoluzionari, promuovendo i diritti dei lavoratori attraverso le sue funzioni di Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale.

Il suo arresto fu ordinato dai suoi oppositori, sostenuto anche dall'immancabile ambasciatore-destabilizzatore USA di turno, ma la mobilitazione popolare portò al suo rilascio.

Il 17 ottobre è considerata, in Argentina, la data di fondazione del Peronismo o Giustizialismo, corrente del socialismo che, ancora oggi, porta avanti giustizia sociale, indipendenza economica, sovranità nazionale e diritti civili e che condusse Peron al governo, attraverso le elezioni presidenziali del febbraio 1946, sostenuto dal Partito Laburista.

Ancora oggi, i sostenitori di Juan Domingo e Evita Peron, la sua indimenticata consorte, scendono in piazza, non solo per celebrare il Peronismo, ma anche per chiedere a gran voce la liberazione dell'ex Presidentessa peronista Cristina Fernandez de Kirchner, agli arresti domiciliari per un'ingiusta condanna per corruzione, che le impedisce di candidarsi alle elezioni parlamentari.

La marcia dei movimenti sociali e sindacali è culminata difronte alla residenza dell'ex Presidentessa, a Buenos Aires, e, come accade da mesi – nel corso delle varie mobilitazioni popolari - ha denunciato le politiche di persecuzione politico-giudiziaria contro l'esponente peronista.

Gli organizzatori, puntando il dito contro l'attuale regime liberal capitalista del trumpiano e filo statunitense Javier Milei, hanno affermato che “ottant’anni dopo, il peronismo riunisce il popolo argentino davanti a una realtà che riproduce vecchi attacchi contro i diritti conquistati: tagli al lavoro e alle pensioni; precarizzazione dell’occupazione; smantellamento dello Stato; consegna delle risorse nazionali e scarsa considerazione per la salute e l’istruzione pubblica”.

Il Peronismo sta tornando in Argentina. E, allo stesso modo, il Socialismo non si piegherà, nel resto dell'America Latina, ai diktat dell'ipocrita e per nulla democratico regime suprematista bianco a Stelle e Strisce che, nonostante i numerosi e storici tentativi di destabilizzazione, golpe e embarghi vari (in Venezuela, a Cuba, in Nicaragua, ma l'elenco è lunghissimo), è sempre stato respinto.

E se non lo sarà oggi, lo sarà domani.

Perché il riscatto dei popoli oppressi è una realtà inarrestabile, che nessun regime, men che meno quello fondato sul danaro e su una finta idea di libertà, potrà fermare.

Luca Bagatin

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mercoledì 15 ottobre 2025

Thomas Sankara, eroe socialista panafricano. Articolo di Luca Bagatin

 

Era il 15 ottobre 1987, quando il Presidente del Burkina Faso – Thomas Sankara – fu ucciso, nell'ambito del colpo di Stato organizzato dal suo ex compagno d'armi Blaise Campaoré, con l'appoggio degli USA, della Francia e dei militari liberiani.

Sankara fu e rimane un simbolo per i popoli del Terzo Mondo africani. Un simbolo panafricano di riscatto e emancipazione.

Burkina Faso, significa, letteralmente, “paese degli uomini integri”. Così come integro fu sempre Sankara, salito al potere a soli 35 anni, attraverso una rivoluzione senza spargimento di sangue, esattamente come avvenne in Libia, con Mu'Ammar Gheddafi.

Sankara nacque il 21 dicembre 1949 da una famiglia povera burkinabé. Il suo sogno, sin da bambino, fu che il suo popolo potesse affrancarsi dal neocolonialismo e che tutti potessero vivere in pace, con due pasti al giorno.

Per potersi mantenere entrò nell'esercito partecipando ad un concorso per accedere alla Scuola militare Pryatanée di Kadiogo, superando il concorso nel 1966.

Nel 1978 conobbe colui il quale, tempo dopo, l'avrebbe assassinato, ovvero Blaise Campaoré e con lui costituì il Raggruppamento degli Ufficiali Comunisti al fine di rovesciare il regime corrotto dell'Alto Volta.

Nel novembre 1980, senza alcun spargimento di sangue, prese il potere il colonnello Sayé Zerbo e Sankara, vista l'alta popolarità di cui godeva nell'esercito, fu nominato Segretario di Stato per l'Informazione. Purtuttavia, in aperto contrasto con il governo che egli scoprì essere corrotto tanto quanto i precedenti, si dimise dall'incarico nell'aprile 1982 e sarà arrestato assieme agli altri componenti del Raggruppamento degli Ufficiali Comunisti.

Un successivo colpo di Stato porterà al potere Jean-Baptiste Ouédraogo che, oltre a liberare Sankara ed i suoi compagni, lo nominerà Primo Ministro.

Da quel momento Sankara inizierà ad applicare sanzioni contro i funzionari pubblici fannulloni, eliminando alcuni vantaggi dei dipendenti pubblici ed iniziando a viaggiare per i Paesi del Terzo Mondo intessendo sempre più fitte relazioni, in particolare con la Libia di Mu'Ammar Gheddafi.

Tornato in patria, Sankara trovò la sua abitazione circondata da carri armati condotti da uomini al soldo del governo francese, il quale temeva l'impulso rivoluzionario del governo da lui presieduto. Egli fu così arrestato e detenuto presso un campo militare.

Grazie ad una sollevazione popolare lui ed i suoi compagni saranno liberati il 30 maggio 1983 ed inizieranno a progettare il colpo di Stato dell'agosto successivo, che lo porterà finalmente alla Presidenza della Repubblica con un programma ambiziosissimo, che riuscirà purtroppo ad attuare solo in parte a causa del suo assassinio, nell'ottobre 1987.

Un programma che consistette in: una massiccia opera di vaccinazione che permise la riduzione di mortalità infantile in Burkina Faso; in una massiccia opera di rimboschimento al fine di far rivivere l'arido Sahel; nella riforma agraria che permise di ridistribuire le terre ai contadini; nella politica di soppressione delle imposte agricole; nelle importantissime politiche di liberazione femminile che proibirono la pratica barbarica dell'infibulazione, nell'abolizione della poligamia, nella partecipazione delle donne alla vita politica del Paese attraverso l'istituzione dell'Unione delle Donne del Burkina, nell'istituzione della giornata dei mariti al mercato; in un programma di riduzione delle spese e del processo di autarchia ribattezzato da Sankara “produciamo quello che consumiamo”, al fine di abolire progressivamente la dipendenza dalle importazioni con l'estero; la costruzione di apposite dighe, pozzi e bacini idrici che garantissero a tutti l'accesso all'acqua e la garanzia di due pasti al giorno per tutti i burkinabé; la costruzione di un campo sportivo per ogni villaggio al fine di garantire a tutti il diritto all'attività fisica e ricreativa; la lotta alla corruzione pubblica e la richiesta di Sankara ai Potenti della Terra di cancellare il debito ai Paesi del Terzo Mondo, in quanto frutto del colonialismo e del neocolonialismo e dunque all'origine del sottosviluppo di tali Paesi; la proposta di disarmo progressivo di tutti i Paesi africani in modo che questi non combattano più fra loro, ma lottino per l'unità e l'emancipazione dei popoli africani; lo sforzo di far partecipare tutti alla vita pubblica del Paese, attraverso appositi comitati rivoluzionari e una radio attraverso la quale chiunque potesse fare proposte o criticare l'operato del governo.

Programma ambizioso e in parte realizzato sino a quell'ottobre 1987 nel quale sarà ucciso - con un colpo di revolver - dal suo amico di lotte, il quale prenderà così il potere e annullerà molte delle riforme portate avanti da Sankara, facendo peraltro tornare il Burkina Faso preda della corruzione e dei potentati economici e politici stranieri.

Un sogno, quello della Rivoluzione burkinabé, dunque tragicamente interrotto. Un sogno che fu sostenuto peraltro anche dal Partito Radicale di Marco Pannella che lanciò in quegli anni una campagna contro lo sterminio per fame nei Paesi del Terzo Mondo e che porterà lo stesso Presidente Thomas Sakara ad iscriversi al loro partito.

La vita e l'esempio di Sankara, portato avanti dall'attuale Presidente del Burkina Faso, Ibrahim Traoré, che combatte tanto contro l'imperialismo neocoloniale francese, che contro il terrorismo islamista, ci spiegano, per moltissimi versi, le vere cause del fenomeno migratorio di oggi, che è frutto del capitalismo, del colonialismo e del neocolonialismo dei governi dei Paesi ricchi europei e statunitensi. I quali continuano a invadere e destabilizzare Paesi sovrani, a sanzionarli, a vendere loro armi. E obbligano i Paesi poveri ad indebitarsi, attraverso le criminali politiche della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale, già ampiamente denunciate da Sankara stesso.

Sankara rimane un simbolo per i popoli liberi e sue lotte, che sono ancora oggi le lotte dei panafricani, meritano rispetto e concreta attuazione. Affinché il suo sacrificio eroico non sia stato vano.

Luca Bagatin

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lunedì 13 ottobre 2025

Roberto Tremelloni, un socialista democratico, un servitore della Repubblica democratica. Articolo di Luca Bagatin

 

Oggi, gli italiani, lo dimostrano anche le recenti elezioni amministrative, non vanno più a votare, per la gran parte.

Non si riconoscono, infatti, in contenitori pressoché uguali e sempre più uguali, con il passare degli anni.

Contenutori volti a distruggere i diritti dei lavoratori; lo stato sociale; la sanità pubblica; a non fare nulla per i diritti degli anziani; delle donne e dei bambini; a non far nulla contro le baby gang e mantenere l'ordine pubblico.

Contenitori lontani tanto a livello nazionale, quanto a livello locale, dalle necessità dei cittadini e della comunità.

Contenitori che preferiscono piegarsi ai desiderata, sempre più sconsiderati e guerrafondai, di Bruxelles e Washington. Che fanno di tutto per distruggere un Occidente alla deriva.

La storia che racconterò e che ho già raccontato in altri articoli e video, riassumendola, è quella di un politico onesto, di un servitore della comunità, attraverso lo Stato democratico italiano di una Repubblica che non esiste più.

Quella Prima Repubblica, nella quale, governavano partiti di autentico Centro-Sinistra. E non gli eredi degli opposti estremismi, approdati al liberal capitalismo assoluto e al fondamentalismo senza costrutto, che si dicono “riformisti” senza esserlo mai stati.

E' la storia di un socialista democratico, raccontata in primis da Mattia Granata, nel suo “Roberto Tremelloni, riformismo e sviluppo economico”, edito da Rubbettino, con il contributo del Centro per la cultura d'impresa.

Di Roberto Tremelloni (1900 – 1987), che ricoprì i Ministeri dell'Industria e del Commercio; del Tesoro, delle Finanze e della Difesa, Enrico Mattei ebbe a scrivere, a proposito del suo modo di fare politica: “Socialista genuino, uomo di cultura moderna, l'On. Tremelloni ha indicato, senza demagogia, quello che un governo socialista deve fare (…), un dirigista, certo, ma un dirigista serio, non un facilone né un demagogo”.

Tremelloni nacque a Milano, in una famiglia povera e questo ha formato profondamente il suo carattere e il suo modo retto di fare politica.

Come riporta Granata, nel suo saggio, Tremelloni scrisse di sé: “Mi sembra molto importante, nel lungo andare della mia vita, il fatto di essere nato povero. Ciò ha giovato alla formazione del mio carattere. Io benedico spesso di essere stato allevato in un ambiente di difficoltà e ristrettezze materiali. Benedico questa scuola perché le difficoltà e le ristrettezze non mi fanno più paura. Perché lo sforzo per superarle diventa abitudine”.

Economista serio, fuori da ogni ideologismo e dogmatismo e sempre dalla parte della collettività, Tremelloni riteneva che fosse “Il proletariato che può e deve alzare la bandiera dello sviluppo economico nell'interesse di tutta la collettività”.

La sua politica fu sempre in contrasto con quella dei conservatori di ogni colore “anche se sono mascherati da etichette progressiste dei più vari movimenti di destra e sinistra”, affermava.

Da adolescente aderì al Partito Repubblicano Italiano di mazziniana e risorgimentale memoria, così come Pietro Nenni. Partito della trasparenza e della rettitudine per eccellenza, oltre che collocato all'estrema sinistra democratica e laica.

Tremelloni si definiva, già da allora, un risorgimentale fabiano, un umanitarista socialista mazziniano e patriottico e tali idee si rafforzarono anche grazie all'amicizia con il liberalsocialista Carlo Rosselli e il padre del Socialismo italiano, Filippo Turati.

Idee che guardavano a un libero mercato regolato a beneficio della collettività e non dell'egoismo privato. Oltre ogni visione classista di matrice marxista-leninista e contro ogni autarchismo di matrice fascista, che Tremelloni avversò con tutto sé stesso, in particolare quando fu chiamato ai suoi primi incarichi di governo, nella ricostruzione dell'Italia, nel dopoguerra.

Un socialismo municipalista e gradualista, il suo, che lo porterà a sostenere, così come il liberalsocialista e amico Ernesto Rossi, la lotta ai monopoli e la promozione della nazionalizzazione dei settori chiave dell'economia, a partire dal settore energetico.

Un socialismo che lo farà approdare, nel 1922, al Partito Socialista Unitario di Turati e Treves e, nel dopoguerra, al Partito Socialista di Unità Proletaria di Nenni e al Partito Socialista dei Lavoratori Italiani di Giuseppe Saragat, successivamente Partito Socialista Unitario e, infine, Partito Socialista Democratico Italiano.

Si occupò, in gioventù, di giornalismo, sia sportivo che di cronaca e, nel 1919 fondò, con il fratello Attilio, la Casa Editrice Aracne e diresse la rivista della Confederazione Generale Del Lavoro, “Battaglie sindacali”, fino alla soppressione, durante il fascismo.

Nel 1926 fondò, peraltro, con Rosselli e Pietro Nenni, la rivista socialista “Quarto Stato”, anch'essa presto soppressa dal regime.

Ma la sua vera passione sarà sempre l'economia. Laureatosi nel 1924 in Scienze economiche, nel 1930, iniziò ad insegnare Economia politica presso l'Università di Ginevra.

Furono quelli gli anni in cui si dedicò maggiormente agli studi economici e meno all'impegno politico, purtuttavia rimase sempre un antifascista della prima ora, non mancando mai di rivolgere critiche alla politica economica del governo mussoliniano, come fa presente il saggio di Granata.

Egli fu, peraltro, fra i fondatori del giornale economico “Il Sole 24 Ore”.

Nel 1931, a Milano, fondò il GAR, ovvero il Gruppo Amici della Razionalizzazione, ovvero una sorta di centro studi economico, fortemente critico nei confronti dell'economia autarchica del regime.

Riuscì, ad ogni modo, a sfuggire alla condanna al confino, grazie al supporto della rete antifascista.

Nel dopoguerra, Tremelloni tornerà ad essere politicamente attivo, sebbene – come ricorda Mattia Granata - considerasse gran parte dei programmi dei partiti italiani piuttosto vaghi, nebulosi, poco concreti. Alla ricerca più del consenso o di non perdere consensi, piuttosto che fondati sulla ricostruzione del Paese, in favore della comunità.

Già allora egli mostrava il suo carattere pragmatico e non ideologico e, con questo spirito, contribuirà, nel 1947, a dare vita, con Saragat, al Partito Socialista dei Lavoratori Italiani (PSLI).

Partito di sinistra laica, socialista democratico e oltre i blocchi contrapposti DC – PCI.

All'indomani della Liberazione, fu incaricato di ricoprire il ruolo di Vicepresidente del Consiglio Industriale per l’Alta Italia, ove si occupò di gestire e riattivare le strutture dell'economia produttiva.

E' in questo ruolo che ebbe modo di applicare la sua visione economica, basata sulla razionalizzazione della produzione, contro ogni forma di parassitismo e di spreco di danaro e energie pubbliche, oltre che contro ogni forma di protezionismo economico.

Ampliamento dei mercati e produzione economica di massa di beni utili e non voluttuari, erano le sue linee guida, per garantire una diffusa prosperità.

Il tutto, secondo Tremelloni, era possibile attraverso un “ordinato e funzionante” intervento pubblico nell'economia del Paese.

In questo senso, fu un sostenitore della nazionalizzazione di ferrovie, compagnie telefoniche e elettriche; dell'abolizione di ogni forma di monopolio e della promozione della meritocrazia in ambito occupazionale.

La politica di Tremelloni, in ambito economico, che era il cuore del programma del socialismo democratico dell'epoca, rifuggiva, dunque, da ogni forma di collettivismo classista e da ogni forma di liberalismo economico, come ottimamente sottolineato dall'autore del saggio biografico.

E questa sarà la politica che egli sempre porterà avanti, anche nei successivi incarichi di governo, all'Industria e commercio (1947), al Tesoro (1962), alle Finanze (1963) e alla Difesa (1966).

Una politica improntata alla buona amministrazione, all'evitare sperperi e sprechi, al risanamento dei conti pubblici ed alla razionalizzazione della spesa, ma all'insegna dello spendere meno, ma meglio, in particolare in settori importantissimi quali sanità e istruzione, sui quali Tremelloni intese investire maggiormente.

Inutile dire che si scontrò moltissimo con i politici della sua epoca, in tal senso.

Fu, come moltissimi esponenti del suo partito, un sostenitore dell'adesione dell'Italia al Patto Atlantico, ma allo stesso tempo fu, come tutti i socialisti democratici, un sostenitore della pace, del disarmo e del dialogo e della cooperazione internazionale con tutti i Paesi del mondo, oltre che dell'autonomia decisionale dell'Italia.

Fu, da Ministro delle Finanze, un sostenitore non solo della progressività delle imposte e dell'abolizione dell'esenzione fiscale a deputati e senatori, ma anche della lotta all'evasione fiscale e ciò gli attirò numerose critiche, da destra e sinistra.

La sua linea rigorosa era comprensibilmente giustificata proprio dal fatto che, grazie alle imposte progressive, non solo le classi meno abbienti avrebbero pagato meno, ma i servizi pubblici potevano essere resi più efficienti, se tutti avessero pagato ciò che a ciascuno competeva.

Come fa presente Mattia Granata nel suo saggio, Tremelloni mirava a moralizzare la vita pubblica e politica e spesso si trovò a scontrarsi con una dura realtà, fatta di malcostume diffuso, che spesso gli causò non poche delusioni e persino problemi di salute.

Egli detestava l'inefficienza, il malaffare, il trasformismo, la superficialità, la degenerazione partitocratica.

Tutte cose che riscontrerà anche da Ministro della Difesa, incarico che egli mai avrebbe voluto assumere.

Pacifista della prima ora, anche in quel caso, con grandi difficoltà, cercò di razionalizzare la spesa militare, pur non riuscendovi e trovandosi difronte a una realtà clientelare diffusa.

Tentò di riformare il SIFAR, trasformandolo in SID e tentando di correggere quelle deviazioni dei servizi segreti che stavano portando il Paese a subire un colpo di stato di estrema destra, durante la crisi del governo Moro-Nenni, nel 1964.

All'epoca, Tremelloni, fu lasciato solo persino da molti suoi compagni di partito, essendosi ormai inimicato gran parte dei poteri forti che si stavano sostituendo allo Stato.

Nel saggio “Roberto Tremelloni, riformismo e sviluppo economico”, Mattia Granata riporta alcune significative annotazioni di Tremelloni, relative a quel periodo: “Mi trovai intorno una cerchia abbastanza ampia di nemici giurati. Non solo i colpiti (evidentemente quelli del Sifar), ma anche i loro sovvenzionati (…) legati da vincoli di complicità e omertà, mi attaccarono e fecero attaccare con insolita durezza e con la diffusione delle più varie calunnie contro di me attraverso la mafia solidale degli informatori Sifar, che i servizi segreti avevano in ogni partito, in ogni agenzia giornalistica, in ogni centro di informazione o centro politico. (…). “Il Sifar si vendicava rabbiosamente (…) tutto lo Stato nello Stato si ribellava contro chi aveva osato mettersi contro di lui”.

Da allora, inizierà il declino politico di Tremelloni, sempre più isolato anche all'interno di un un PSDI che stava perdendo gran parte del suo glorioso passato socialista ed era in inevitabile calo di consensi da parte dell'opinione pubblica.

Così scriveva Tremelloni, all'indomani dell'esperienza al Ministero della Difesa: “Il partito non mi difese dagli attacchi e dalle calunnie, non fece quadrato attorno a me nella difficile e spericolata traversia che mi aveva attirato gli odii di tutti gli amici dei potentissimi servizi segreti (…) anche nei partiti di sinistra”.

In un PSDI guidato da Mario Tanassi, le personalità di alto profilo come Tremelloni erano sempre più tenute ai margini (la stessa pasionaria del socialismo, Angelica Balabanoff, negli anni, rimase sempre più delusa dai vertici del partito dei socialisti democratici e non mancò di sottolinearlo, nelle sue memorie).

Tremelloni non venne più considerato in seno al PSDI e gli veniva preferita, nel 1968, il sostegno – nel suo stesso collegio milanese - alla candidatura di Eugenio Scalfari alle elezioni politiche e, solamente grazie al ripescaggio dei resti, e all'interessamento di Pietro Nenni, sarà rieletto, come fa presente il saggio di Granata.

Tremelloni, ad ogni modo, non smise mai di scrivere, studiare e battersi contro il fenomeno dell'inflazione, sottovalutatissimo dalla gran parte dei politici dell'epoca. E ciò di pari passo con la denuncia tremelloniana di un aumento degli sprechi nel settore pubblico.

Aspetti, entrambi, peraltro, che porteranno alla crisi della Prima Repubblica, alcuni decenni dopo e sui quali soffieranno sia gli opposti estremismi, che i poteri forti internazionali e un'opinione pubblica manipolata dal sistema mediatico. Portando, dunque, al crollo dei partiti democratici di governo e alla fine dell'Italia per come l'avevamo conosciuta.

L'ultimo atto politico di Tremelloni fu la partecipazione al convegno milanese del PSDI “Una politica contro l'inflazione: per lo sviluppo nella stabilità”, del 1973 (degli atti di tale convegno, che conservo nella mia biblioteca, parlerò in un successivo articolo, fra qualche tempo).

Dopo di allora, come ricorda l'ottimo Granata, Tremelloni si allontanò dalla vita pubblica. Continuò a vivere una vita molto frugale (cibandosi, come sempre, di riso in bianco, una mela e acqua naturale) e a vivere un'esistenza molto ritirata, fra i suoi libri, i suoi studi, la compagnia della moglie Emma e della figlia Laura.

Molto lo aveva deluso la politica del tempo, che aveva accantonato una personalità di altissimo livello, che aveva dato molto al Paese e veniva ripagato con l'oblio e l'isolamento. Specialmente da coloro i quali avrebbero dovuto tenerlo in palmo di mano.

Come, del resto, accadde nel Risorgimento all'Eroe dei due Mondi Giuseppe Garibaldi (che si ritirò a Caprera, molto deluso, dimettendosi da deputato) e anche al grande leader e partigiano Repubblicano Randolfo Pacciardi, altro importante Ministro degli Anni d'oro dell'Italia del dopoguerra e che da tempo denunciava la degenerazione della partitocrazia italiana, sempre meno al servizio alla comunità. Ma che il PRI dell'epoca mise in un canto.

Dei migliori, del resto, pensiamo al Ministro socialista della Sanità, Luigi Mariotti, che fece chiudere i manicomi e si adoperò molto per il welfare, era meglio scordarsi, per lasciare spazio alla “mafia dei professionisti di partito”, come la chiamò lo stesso Tremelloni.

Se vogliamo comprendere le ragioni del disastro politico di oggi, italiano, Europeo e Occidentale, della totale irresponsabilità e perdita di qualità del personale politico degli ultimi trent'anni, non possiamo non ragionare guardando al nostro passato.

E non possiamo non onorare non solo la memoria di leader politici come Roberto Tremelloni, ma anche apprenderne gli insegnamenti, i percorsi, la lungimiranza e intelligenza.

Sono fra coloro i quali, pur socialista fin da ragazzino, non credono assolutamente a una rinascita del socialismo in Italia e Europa (e sicuramente non considero socialisti i partitini che si dicono, oggi, tali). E ne ho spiegato le ragioni, più e più volte. Molte di queste le ravvisò già Tremelloni. Molte di queste le ravvisò comunque anche Bettino Craxi, il cui PSI (l'ultimo dei partiti socialisti italiani, esistito fino al 1992) raccolse gran parte dell'eredità socialista democratica, ormai allo sbando.

Ciò che è possibile e necessario fare è studiare, approfondire, ricercare, agire in modo retto, austero, senza pregiudizi, senza tornaconti personali. Elevare ed elevarsi oltre una massa e una politica resa incolta e arida.

“Roberto Tremelloni, riformismo e sviluppo economico”, di Mattia Granata, scritto benissimo e altrettanto ottimamente documentato, è, in questo senso, un saggio preziosissimo.

Un documento raro, fondamentale, non solo per gli storici, ma anche e soprattutto per le nuove generazioni, siano esse formate da economisti, studiosi, militanti politici, socialisti democratici (se ancora ne esistono, specie fuori da partiti ormai senza alcun valore e fuori da elezioni ormai totalmente inutili), giovani, meno giovani e quanti vorranno recuperare il pensiero e l'azione di un grande uomo quale fu Roberto Tremelloni.

Luca Bagatin

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