martedì 18 novembre 2025

Il diritto alla vita è anche diritto di poter scegliere come e quando morire. Articolo di Luca Bagatin

 

Il recente caso delle gemelle Alice e Ellen Kessler, le quali hanno deciso, a 89 anni, consapevolmente di morire assieme, praticandosi il suicidio assistito, ma anche il caso della ventiseienne fiamminga Siska De Ruysscher, che ha deciso di ricorrere all'eutanasia per depressione, riapre la questione del diritto alla morte.

O, meglio, del diritto di decidere quando e se morire con dignità.

Se esiste il diritto alla vita, perché è così tabù parlare di diritto alla morte?

Perché il peso delle religioni monoteiste istituzionalizzate e di tanto moralismo politico, è più forte di una scelta consapevole e personale?

Molti sono, nella Storia, recente o meno, coloro i quali hanno deciso consapevolmente di morire.

Fra i più celebri, il caso della scrittrice, giornalista e attivista per i diritti civili, Roberta Tatafiore, di cui ho molto scritto anni fa, anche in un mio saggio.

Decise di togliersi la vita nel 2009. E parlò di tale decisione nel suo diario, pubblicato postumo, da Rizzoli, con il titolo “La parola fine. Diario di un suicidio”.

Un diario tanto toccante e commovente, quanto consapevole.

Roberta Tatafiore così scriveva: “A chi appartiene la vita? La vita appartiene a ogni individuo libero di affidarla a chi vuole, in base a ciò che gli suggerisce la coscienza”.

E mi ritorna alla mente la coscienza di Paul Lafargue (1842 – 1911), genero di Marx, di cui ho molto scritto, in un altro saggio.

Paul Lafargue amava la vita, era un gaudente sotto ogni punto di vista. E anche per questo era socialista e criticava lo sfruttamento del sistema capitalista fondato sullo sfruttamento del lavoro e del salario.

Egli scrisse “Il diritto all'ozio”. Un saggio di critica serrata del capitalismo, che generava lo sfruttamento del lavoro salariato, impedendo la piena emancipazione e autogestione dell'essere umano.

Un saggio pieno di umorismo, come ricordò il suo amico Karl Kautsky.

Paul Lafargue, fondatore del Partito Operaio Francese, nel 1882, massone e seguace delle idee socialiste libertarie di Proudhon (e spesso in contrasto con il suocero Marx) e in contatto con Karl Liebknecht e successivamente con Vladimir Lenin, decise, assieme alla moglie, Laura Marx, il 25 novembre 1911, di suicidarsi, per evitare le sofferenze della vecchiaia.

Egli così scrisse, nel suo testamento: “Sano di corpo e di spirito, mi uccido prima che l'impietosa vecchiaia mi tolga a uno a uno i piaceri e le gioie dell'esistenza e mi spogli delle forze fisiche e intellettuali. Affinché la vecchiaia non paralizzi la mia energia, non spezzi la mia volontà e non mi renda un peso per me e per gli altri.

Da molto tempo mi sono ripromesso di non superare i settant'anni; ho fissato la stagione dell'anno per il mio distacco dalla vita e ho preparato il sistema per mettere in pratica la mia decisione: un'iniezione ipodermica di acido cianidrico. Muoio con la suprema gioia della certezza che, in un prossimo futuro, la causa alla quale mi sono votato da quarantacinque anni trionferà. Viva il Comunismo. Viva il Socialismo Internazionale!”.

Chi molto ama la vita, chi molto ama, in generale, probabilmente, meglio di altri può comprendere quanto la possibilità di decidere perché, quando e come morire sia importante.

E ciò va osservato, senza pregiudizio.

Ed è per questo che, per molti di noi, è incomprensibile come solo alcuni Paesi permettano eutanasia e suicidio assistito, mentre in altri, che comunque si dicono “democratici” e “civili”, ciò sia negato del tutto.

Ho molto scritto, di questo, fin da quando ero molto giovane. Perché io stesso ho sempre detto che, se mi trovassi nelle condizioni di non poter o voler andare avanti, in questa esistenza terrena, vorrei poter decidere di morire e di poterlo fare dignitosamente.

Ed è per questo che ritengo, come da sempre ritengono tutti gli autentici socialisti (e ne esistono ancora, ma spesso, in Italia e UE, sono senza tessera e senza partito), che sia importante prima di tutto investire nella salute pubblica.

Per fare prima di tutto stare bene le persone. Per evitare a quante più persone la sofferenza, sia fisica che mentale. Che è la prima cosa sulla quale occorre lavorare, sotto il profilo umano, civile e politico.

Anziché investire, in maniera sciocca, irresponsabile e sconsiderata, in strumenti di morte (non consapevolmente voluta, ma subita a causa della sconsideratezza di troppi politicanti), ovvero in armamenti e in sciocche contrapposizioni fuori dal tempo e da ogni logica.

Non c'è niente di buono o di mistico nella sofferenza, come magari ritengono alcuni credi religiosi.

Non c'è niente di buono nel negare al prossimo la possibilità di curarsi, perché magari non ha i soldi per farlo, come sempre più spesso accade nelle nostre società capitaliste, che si dicono però “democratiche”, ma la democrazia è tale se le leggi sono a beneficio della comunità, non di pochi.

Non c'è niente di buono nell'investire in strumenti di morte e offesa, anziché in educazione, elevazione morale e intellettuale.

Non c'è niente di buono nemmeno nel negare il diritto di scegliere come gestire la propria vita e, dunque, la propria morte.

Luca Bagatin

www.amoreeliberta.blogspot.it

Nessun commento:

Posta un commento