In pochi, ancora oggi, probabilmente a causa di certa fuorviante e faziosa storiografia clericale, fascista o marxista, sanno che il Padre del Risorgimento italiano, Giuseppe Mazzini, non è stato solo il teorico dell'Unità d'Italia, ma anche un profondo riformatore sociale.
Le teorie politico-economiche di Mazzini, infatti, come già ricordato dall'ottimo saggio di Nello Rosselli, “Mazzini e Bakunin” del 1927, sono all'origine del movimento operaio italiano.
E lo sono perché parlano innanzitutto agli operai italiani. Li invitano ad associarsi e a unire il capitale con il lavoro e a superare il liberal capitalismo borghese sfruttatore e ad opporsi a un marxismo ingannatore.
Come ricorda lo storico Silvio Berardi nel suo “Il socialismo mazziniano”, Mazzini, nel saggio “Condizioni e avvenire dell'Europa, del 1871, scrisse:
“Il grande pensiero sociale che ferve oggi in Europa può così definirsi: abolizione del proletariato: emancipazione dei lavoratori dalla tirannide del capitale concentrato in un piccolo numero d'individui: riparto dei prodotti, o del valore che n'esce, a seconda del lavoro compito: educazione morale e intellettuale degli operai: associazione volontaria tra gli operai, sostituita pacificamente, progressivamente e quanto è possibile, al lavoro individuale salariato ad arbitrio del capitalista”.
E proprio l'ottimo saggio del prof. Berardi ci permette di conoscere e approfondire la corrente socialista mazziniana.
Corrente che traeva linfa dal pensiero sociale di Giuseppe Mazzini, che a pieno titolo sarà rappresentato nell'ambito della Prima Internazionale dei Lavoratori del 1864, e che sarà sviluppata e articolata da figure quali Arcangelo Ghisleri, Alfredo Bottai, Giulio Andrea Belloni, ma anche da Vittorio Parmentola, Giuseppe Chiosterghi, Oliviero Zuccarini e altri.
Figure che rappresenteranno quella sinistra del Partito Repubblicano Italiano, volutamente dimenticata dal PRI a partire dalla scomparsa di Belloni, nel 1957, ma ancor prima osteggiata, dagli esponenti di quella destra repubblicana, i quali finiranno per trasformare il PRI, da partito risorgimentale di estrema sinistra, a partito sempre più liberale e al servizio della DC.
“Il socialismo mazziniano”, edito da Sapienza Università Editrice, con il patrocinio del Centro Studi Gaetano Salvemini, è un testo raro, ottimamente scritto e documentato, che apre un'orizzonte a coloro i quali vorranno approfondire questa suggestiva corrente del socialismo italiano.
Saggio interessante fin dalla prefazione del prof. Gaetano Pecora, il quale ricorda l'idea socializzatrice di Mazzini, volta a superare il “giogo del salario”, per “mettere il capitale nelle mani di chi lavora”.
Un Mazzini che, dunque, considera i lavoratori del produttori e non degli sfruttati dal salario e che, dunque, dovrebbero emanciparsi, tanto dal padrone privato che dallo Stato.
Un Mazzini che, come ricorda il prof. Pecora, pone al primo posto l'educazione quale strumento per l'emancipazione e la libertà autentica. Un'educazione volta a superare l'egoismo umano, per approdare al senso del dovere nei confronti della comunità intera.
E così, come ci spiega fin dai primi capitoli Silvio Berardi, a sviluppare per primo il suo pensiero, fu il sindacalista rivoluzionario Alfredo Bottai (1874 – 1965).
Fu, infatti, Bottai a coniare il termine “socialismo mazziniano”, attraverso il suo omonimo saggio, “Socialismo mazziniano”, del 1908.
Saggio nel quale si ponevano al centro i concetti di associazionismo operaio, educazione morale e spirituale degli individui, responsabilizzazione degli stessi e emancipazione sociale.
L'obiettivo di Bottai era quello di cercare un'unità e una sinergia politica fra repubblicani, socialisti, radicali e anarchici, mettendo al primo posto la questione sociale.
Egli fu sincero amico dei sindacalisti rivoluzionari di ispirazione mazziniana Filippo Corridoni e Alceste De Ambris (celebre per aver redatto la dannunziana, libertaria, socialista mazziniana Carta del Carnaro) e diresse il giornale “La Gioventù Sindacalista”.
Egli peraltro protestò sempre, come ricordato da Berardi, contro l'appropriazione del pensiero mazziniano e corridoniano da parte del regime mussoliniano, il quale nei fatti lo stravolse e tradì ampiamente.
E lo fece nonostante fosse il nipote del Ministro fascista Giuseppe Bottai, del quale non condivise mai le idee.
In tutte le sue opere, Bottai, ribadì anche che il socialismo mazziniano nulla aveva a che spartire con il marxismo, in quanto quest'ultimo sopprimeva ogni forma di credenza spirituale, ogni forma di autorità e la proprietà individuale. Mentre i socialisti mazziniani, pur egualmente e radicalmente critici nei confronti del sistema capitalista fondato sul salario e del liberalismo in generale, si opponevano alla lotta di classe e fondavano la loro dottrina sul riconoscimento dei diritti di proprietà e sull'associazionismo operaio, oltre che sull'elevazione morale e spirituale degli individui e sulla fratellanza universale.
Bottai, rifacendosi a Mazzini, ricordava che non vi può essere alcuna libertà, né alcun benessere sociale senza una coscienza morale “ispirata all'idea del dovere, della solidarietà, di un alto concetto della vita”.
Silvio Berardi, nel suo saggio, ci ricorda peraltro che le istanze di Bottai trovarono parziale accoglimento anche al Congresso nazionale del Partito Repubblicano del 1914, tenutosi a Bologna.
Congresso che rivendicò la matrice socialista delle idee mazziniane.
Le idee socialiste mazziniane, nel corso degli Anni '20, trovarono, dunque, una loro diffusione e dimensione e fu così che, a rimanerne influenzato, fu Giulio Andrea Belloni (1902 – 1957), futuro giurista esperto in criminologia.
Nel 1923 Belloni divenne discepolo di Bottai, oltre che del Padre nobile del Repubblicanesimo italiano, Arcangelo Ghisleri (1855 – 1938), con il quale ebbe lunghi rapporti epistolari.
Ghisleri, peraltro, fu il fondatore della rivista “Cuore e Critica”, nel 1887, che diverrà poi “Critica Sociale”, ovvero la principale rivista del Socialismo italiano, a dimostrazione delle influenze repubblicane mazziniane risorgimentali nell'ambito tradizione socialista del nostro Paese.
Belloni, che divenne Segretario nazionale del PRI nel 1924, come scrive Berardi, considerava il mazzinianesimo una sorta di “via italiana al socialismo”.
Belloni e Bottai, con l'avvento del fascismo, militeranno entrambi nelle fila di Giustizia e Libertà, movimento liberalsocialista che ebbe fra i fondatori gli esuli Carlo e Nello Rosselli e, all'interno di GL, diffonderanno le idee socialiste mazziniane.
Nel 1945, Belloni, darà alle stampe il suo “Repubblica e socialismo”, nel solco degli insegnamenti di Mazzini, Ghisleri e Bottai, ma anche del rivoluzionario risorgimentale Carlo Pisacane (1818 – 1857), le cui idee univano il mazzinianesimo, il socialismo libertario e l'anarchismo di Proudhon.
La visione di Belloni si fondava sull'etica del lavoro, sulla lotta al parassitismo e sulla giustizia sociale.
In questo senso, egli, faceva propria l'idea di Gaetano Salvemini (1873 – 1957) di costituire una “terza forza” laico-risorgimentale-socialista (detta anche “concentrazione repubblicana-socialista”, secondo il saggio di Salvemini del 1944), in grado di contrapporsi tanto al bolscevismo del PCI, quanto al clericalismo della DC.
Un terzaforzismo antborghese, anticapitalista, ma inserito a pieno titolo nel solco riformista e dunque volto al dialogo con il PSI di Pietro Nenni (questi peraltro proveniva dalle fila repubblicane) e con il PSLI di Giuseppe Saragat, oltre che con quelle figure del primo Partito Radicale, quali Ernesto Rossi, che avevano una visione contigua e molto simile a quella dei socialisti mazziniani.
In questo senso, Giulio Andrea Belloni, sarà il capostipite della sinistra repubblicana all'interno del PRI. E, in un primo tempo, trovò persino l'appoggio dell'allora Segretario del PRI, Randolfo Pacciardi, anch'egli molto lontano dalle istanze liberali degli ex azionisti come Ugo La Malfa, ovvero dalla destra del partito.
Belloni, peraltro, si troverà molto in sintonia con Guido Bergamo (fratello di quel Mario Bergamo, ex Segretario del PRI, che già negli Anni '20 teorizzava un'unione fra repubblicani e socialisti) e fondatore del Partito Repubblicano Sociale Italiano e del giornale “La Riscossa”, di Treviso.
La sinistra repubblicana di Belloni fonderà la testata “L'Idea Repubblicana” e spesso entrò in contrasto con “La Voce Repubblicana” e con la destra del PRI, per nulla legata alla tradizione risorgimentale mazziniana, ma vicina al “New Deal” rooseveltiano.
Anche Bottai, sostenendo le idee di Belloni, ricordava sempre, sulle pagine de “L'Idea Repubblicana”, che la sinistra repubblicana non si contrapponeva frontalmente al marxismo e al comunismo, pur essendone avversaria. Bensì si contrapponeva a tutti coloro i quali erano nemici del lavoro. Essa si batteva per la scomparsa del “regime del salario” e avrebbe lottato accanto a tutti coloro i quali “combattono questa borghesia gretta, egoistica e supremamente stupida”.
Il dialogo con i socialisti di Nenni, ad ogni modo, fallirà, in quanto questi finiranno per unirsi al PCI nell'ambito del Fronte Democratico Popolare (così come fecero anche i repubblicani sociali di Guido Bergamo).
Silvio Berardi ribadisce, nel suo ottimo saggio, i concetti fondamentali del socialismo mazziniano, ovvero della sinistra repubblicana nel PRI: abolizione del salario; abolizione del proletariato; abolizione della borghesia, del capitalismo e della delinquenza plutocratica; democrazia diretta e cooperativismo operaio, in modo che i lavoratori potessero essere i beneficiari diretti degli utili dell'impresa. E fine della collaborazione governativa con la DC. A livello internazionale, poi, avrebbe voluto lavorare per un'Europa unita e emancipata rispetto a quelli che considerava i due imperialismi, USA e URSS, che rappresentavano entrambi modelli che avrebbero negato libertà e emancipazione sociale.
Un programma avanzato e moderno, ma dalle radici antiche. Purtroppo avversato all'interno del PRI e poco compreso dalle altre forze di sinistra italiane, in particolare da un PCI che le avrebbe volute egemonizzare.
Nel corso degli Anni '50, come spiega l'ottimo Berardi, i socialisti mazziniani finiranno per essere sempre più marginalizzati, all'interno del PRI.
Alcuni, come Oliviero Zuccarini (1883 – 1971), fonderanno l'Unione di Rinascita Repubblicana e, nel 1953, contribuiranno, assieme ad alcuni esponenti di Giustizia e Libertà e fuoriusciti socialdemocratici, a costituire il movimento Unità Popolare.
Belloni rimarrà nel PRI, per spirito unitario.
Morirà prematuramente nel 1957 e così anche la corrente di sinistra repubblicana non gli sopravvisse, perché i suoi amici e discepoli non ebbero la forza di lottare all'interno di un PRI che ormai aveva preso una piega totalmente liberale e opposta agli ideali originari.
Un vero peccato, perché il socialismo mazziniano è oggettivamente una forma di socialismo puro, non materialista, pragmatico, umanitario, spirituale, che, se in Italia non ha avuto successo, per molti versi ha trionfato in vari Paesi dell'America Latina odierna, probabilmente anche grazie alla diffusione di quegli ideali operata già dagli esuli risorgimentali, quali Giuseppe Garibaldi.
Ideali che hanno saputo fondersi con l'indigenismo, con la spiritualità teosofica e massonica e con un marxismo meno ideologico rispetto a quello europeo.
Il saggio di Silvio Berardi è un faro che illumina le menti di chi, come il sottoscritto, a questi ideali, sin da ragazzo, si ispira e diffonde (con le stesse identiche difficoltà incontrate da Bottai e Belloni), sia di coloro i quali non hanno mai avuto la possibilità di conoscere questa storia, che è Storia d'Italia e d'Europa e che forse è l'unica storia davvero democratica, sociale e civile del nostro Paese e dell'Europa intera.
Luca Bagatin
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